PIERO RAGONE è filosofo, ricercatore, scrittore, studioso di religioni e di esoterismo. Il suo campo d’indagine è tutto ciò che la scienza non è in grado di spiegare. Laureato in Filosofia nel 2001, consegue due master e nel 2017 riceve la laurea honoris causa in Scienze Esoteriche. Autore di numerosi testi di successo, è ospite di convegni nazionali ed internazionali e il suo nome è accostato ai maggiori interpreti della ricerca italiana e mondiale.

martedì 19 dicembre 2017

IL VERO EROE

I tempi in cui sedevo tra i banchi come alunno sono così lontani da sembrare ingialliti anche nei ricordi. Non sono mai stato uno studente modello e non ho mai voluto esserlo, ma c'era una materia che riusciva a tenermi sveglio per quasi un'ora. Epica.
Una volta il prof chiese chi fosse, secondo noi, il vero eroe omerico. Qualcuno la buttò sull'improbabile, da Paride a Briseide, ma i due prescelti erano Achille ed Ettore. 
Quasi tutti erano concordi nel coronare Ettore come il Pallone d'Oro dell'Iliade.
Io non avevo dubbi: per me era Achille. 
"Ma come? - ribattevano - Ettore difende la sua patria, non si lascia fuorviare dai capricci, non è iroso, non perde le staffe, non si scompone, è sempre ligio al suo dovere, è al servizio di un bene più grande ... Achille è isterico, piange, singhiozza, sbraita, si innamora a tempo determinato, abbandona la battaglia per un capriccio, ritorna a combattere per vendetta. Cosa c'è di eroico in lui?".
Tutte obiezioni valide. Ma la mia idea resta.

Ettore non aveva scelta: la sua città era assediata, non poteva non difenderla, non c'era da pensarci su. Ettore non compie nessuna impresa eccezionale; si illude di aver ucciso Achille e, quando il figlio di Peleo lo sfida a duello, fugge in preda al panico attorno alle mura della città. E perde la sfida.
Achille ha avuto molte scelte. Ed ha sempre intrapreso la strada più difficile; molte profezie avevano preannunciato il suo tragico destino: se avesse partecipato alla guerra, non sarebbe tornato a casa; finché Ettore era vivo, lui non sarebbe deceduto. Ma non ha mai scelto la via del quieto vivere. Si è unito ai Greci sulle spiagge insanguinate dell'Asia Minore; si è innamorato di una schiava - che affronto! - e, per amore di lei, decide di non combattere agli ordini di Agamennone. Piange per l'affronto, e piange ancor di più quando il suo amato Patroclo perde la vita per mano di Ettore. Il suo dolore è incontenibile, Il suo furore non è l'encomiabile, pacata pietas di Ettore o di Enea, ma è fuoco inarrestabile. Achille sfida Ettore, consapevole che la morte dell'eroe troiano implica la sua fine. E non importa. Achille vive per quel momento. Vince il duello. Ettore muore. E quindi Achille muore, trafitto nell'unico punto debole da una freccia scagliata dal vile Paride.
Forse non è un vero eroe, Forse non lo è stato per i Greci, non lo era per i miei proff. e per i miei compagni.
Ma lo è per me. 
Nonostante gli avvertimenti, ha sempre scelto il suo destino ascoltando la voce interiore con grande chiarezza, quella che, nel film "Vento di Passioni", secondo lo Cheyenne One Stab, ti fa diventare "pazzo, o diventi leggenda".
Ci sono avvisaglie, sensazioni o profezie, se si possono ancora chiamare così, che ti avvertono: "Non proseguire lungo questa strada, o prima o poi troverai il tuo Paride che ti fa secco". 
La tentazione di fermarsi c'è sempre, ad ogni angolo. E' una compagna testarda: non perde mai l'occasione di mostrarti l'angolo di paradiso che meriti, se deponi le armi. "Chi te lo fa fare? Se molli adesso, ad attenderti c'è tutto il resto!"
Poi ti rivolgi agli déi, chiedi loro un cenno, un consiglio, un immaginifico cartello stradale che ti indichi la via, e i Messaggeri si attivano. Ed ecco il segno: una Stella della Notte (vedi commento) che giunge in soccorso dalle profondità della coscienza di uno sconosciuto, sospinto a parlarti affinché tu recepisca.
Quando hai già lo zaino sulle spalle, pronto a dire "basta, mi prendo una vacanza per il resto della vita", il destino ti invita a riprendere posto sul set del tuo personale Apocalypse Now.

Per questo, probabilmente, continuerò a piangere la perdita della mia Briseide, a trafiggermi mille volte il cuore per la dipartita del mio Patroclo. E sfiderò Ettore. In attesa che Paride si faccia vivo con l'arma del vigliacco
Quando una Stella della Notte ti parla, puoi mai dirle no? 
E poi gli eroi non piangono. Gli eroi scrivono favole con inchiostro di lacrime.

- Ci vediamo al Bivio, Ragazzi.
VVB 

lunedì 11 dicembre 2017

I DIAMANTI DEI POVERI

Del film “Caravaggio” di Derek Jarman, ricordo questa frase:
“Le stelle sono i diamanti dei poveri. I ricchi nascondono i loro tesori nelle casseforti. Si vergognano a doverli comparare con le ricchezze del Signore che risplendono nel Cielo”.

Molti anni fa, quando ero un vagabondo dell’Anima e trovavo rifugio in ogni tana che il mio studiato vagare mi offriva, mi è capitato per un po’ di possedere soltanto i “diamanti dei poveri”. L’imprevedibile avventura della Vita mi aveva condotto in una terra avara, per certi versi muta e indecifrabile; accade così che, volontà del destino o combinazione sbagliata di scelte azzardate e amorevole sfiga, la strada diventa la tua casa e il tuo unico bagaglio è uno zaino per metà pieno di mistici ricordi di un futuro che puoi solo sognare, e per metà pieno dei NON che ti trascini in quella specie di guscio di tartaruga che hai incollato tutto il giorno sulle spalle. 
Quando lo sporco della polvere d’asfalto incrosta il volto, e le fessure di un indumento stracciato sono motivo di vergogna per te, e di soddisfazione per chi ti vuol male, hai due possibilità: lasciare che tutto sia, oppure perderti nel loop di “come potrebbe essere stato”.
In quei giorni, il tuo corpo è da qualche parte; il posto in cui dormi è ovunque; ciò che mangi è quasi nulla e ciò che sei è il silenzio di ogni cosa.
L’unica certezza è l’elenco di quello che non hai. O di quello che non ti appartiene più. Due pensieri mi impedivano di far ritorno a casa: non ricordare più la via di casa e conoscere esattamente dove fosse la mia casa.
E fu così che due giorni di cammino nel vuoto mi condussero in un campo di calcio abbandonato; senza porte né spalti, senza righe né bandiere, un angolo del campo era il rifugio presso il quale quella sera trovai rifugio. 
Al centro della notte, disteso su una panchina in disuso, vedevo il cielo perlato tracciare sentieri che sognavo di percorrere e, poiché non era mia abitudine pregare quando il mondo girava al contrario, dissi imbronciato: “Mio caro Papà, non potevi riservarmi una fine peggiore. Disteso qui, sulla panchina della Vita, con la certezza che il mio turno non arriverà mai”. Non erano queste le parole esatte, ma c’era un carico di sano livore che non posso riportare.

Andiamo avanti di circa dieci anni, come in un film in stile Rodriguez/Tarantino, di quelli in cui salta la finta giuntura della finta pellicola per creare un finto diversivo. E lo spettatore balza all’improvviso da un contesto all’altro, ignorando quello che è accaduto nel mezzo.
Era il mio primo convegno. Il tabellone strillava nomi più grandi del mio, e sapevo di essere soltanto un riempitivo, un intermezzo quasi ludico tra ricercatori di grande fama. Nessuno del pubblico era lì per me. Perché nessuno sapeva di me. Ma di lì a poco avrebbero ascoltato anche me. 
Prima di parlare con il capo chino, come facevo un tempo, per mezzo minuto diedi le spalle alla platea, come faccio sempre, e pregai, come faccio sempre. E ricordai quel campo abbandonato, il mio rifugio divorato dai cespugli, il silenzio della terra e il Cielo che esibiva i suoi diamanti. Che erano anche i miei diamanti.
Il Grande Regista aveva studiato ogni dettaglio: ambientazione, dialoghi, luci, evolversi del plot dal momento di dolore al trionfo di colore secondo la legge del Tempo Epico.
Chas Kramer, il giovane allievo del John Constantine interpretato da Keanu Reeves (2005), dice qualcosa come: “Se ti mettono in panchina, è per esser pronto a subentrare”.
Non potevo saperlo, ma quando Dio, le scelte azzardate o l’amorevole sfiga mi hanno condotto lì, su quella panchina, a rammendare inutili stracci di un fallimento necessario, era perché, al momento giusto, il più Grande Allenatore che io conosca doveva voltarsi verso di me e dirmi: “Tirati su da quella panca, campione. È il tuo turno. Vediamo cosa sai fare”.
I ricchi nascondono i loro tesori; non possono competere con la bellezza dei diamanti del Signore che risplendono nel Cielo. 
Per questo il Mister mi ha spedito in panchina per metà della mia vita. Perché mi liberassi di ogni stupida ambizione. 
Lui non voleva che fossi il tesoro dei ricchi, rinchiuso in una cassaforte, o in un ufficio. Lui voleva che io diventassi il Diamante dei Poveri.

Ci vediamo al Bivio, Ragazzi.
VVB